Educare a costruire la pace. I corridoi umanitari, la scuola e l’immigrazione: l’esperienza della Comunità di Sant’Egidio. Intervista a Daniela Pompei

Mentre stiamo andando in pubblicazione con il presente numero di Leussein si sta assistendo ad un attacco concentrico ai principi solidaristici di cui, tra l’altro, è intrisa la nostra Carta Costituzionale. Lo straniero, l’immigrato è visto oggi sempre di più come un problema, che mina i fondamenti della nostra società. I fatti di Riace, la chiusura dei porti, la giustizia fai da te, le proposte normative volte in genere alla chiusura della nostra società non fermano, però, quella catena umana fatta di persone, di associazioni, di volontariato, di fatti singoli e collettivi, che mostrano un volto diverso, una realtà diversa. Storie laiche o religiose che sono un esempio, che fermano la distruzione dei diritti, che non vogliono la cancellazione della memoria collettiva, che sono una risposta spontanea a dimostrazione che esistono degli anticorpi nella nostra Società che alimentano quella riserva di solidarietà e di capacità di auto-organizzazione, altruista, generosa, senza secondi fini, irriducibile ed appassionata capace di capire, di proporre soluzioni, di costruire ponti per educare alla pace. L’intervista a Daniela Pompei è un po’ tutto questo. È la storia, come ne esistono molte altre, di chi, in questo caso ispirato dal proprio credo religioso, come Daniela Pompei e i membri della Comunità di Sant’Egidio, mettono a disposizione una parte della propria vita per fare qualcosa per gli altri, usando anche la normativa esistente nella quale si possono trovare degli spazi, delle interpretazioni, per costruire delle proposte di soluzione ad esempio al problema dei profughi. È il caso dei “corridoi umanitari” che hanno permesso di portare in salvezza molti profughi siriani, e non solo, di cui si parla nell’intervista. Ma non si capiscono i corridoi umanitari se non si ha presente la storia della stessa Comunità di Sant’Egidio, nata nel 1968 con l’intento di iniziare dagli ultimi, dando loro il potere della parola attraverso i doposcuola nelle baracche e nei quartieri cosiddetti difficili e, negli anni, arrivando alle periferie estreme del mondo, in Africa, in Ameria Latina, ecc. Un percorso, quello di cui ci racconta Daniela Pompei, che ha come centro il bisognoso ma che non si ferma all’assistenzialismo bensì vuole costruire una cultura ed un progetto di integrazione ed inclusione sociale non per loro ma con loro, per abbattere quei muri di divisione, quegli stereotipi che purtroppo spesso vediamo essere alimentati da un clima politico ostile che fomenta un clima culturale dove i diversi vengono visti come potenziali nemici.

La scuola, il dare la parola a chi non l’ha, insegnare è stata una delle prime esigenze che la comunità di sant’Egidio[1] ha sentito di dover perseguire, sin dall’inizio, rivolgendosi ai poveri che incontrava, i bambini delle periferie, ai margini della società. Con il tempo, il mondo cambia e i bisognosi assumono nuove fisionomie, hanno nuove esigenze, sono diversi ma in fondo anche uguali.

Ecco, nella nostra chiacchierata con Daniela Pompei[2] inizierei proprio da qui.


[1] La Comunità di Sant’Egidio è una Comunità cristiana nata nel 1968, all’indomani del Concilio Vaticano II, in un liceo del centro di Roma. Con gli anni è divenuta una rete di comunità che, in più di 70 paesi del mondo, con una particolare attenzione alle periferie e ai periferici, raccoglie uomini e donne di ogni età e condizione, uniti da un legame di fraternità nell’ascolto del Vangelo e nell’impegno volontario e gratuito per i poveri e per la pace. Il primo dei servizi della comunità, quando ancora non aveva preso il nome di Sant’Egidio, fu la scuola popolare per i bambini emarginati delle baraccopoli romane, come quelle che erano presenti al “Cinodromo”, lungo il Tevere nella zona sud di Roma.

[2] Daniela Pompei è Docente in Scienze Sociali ed è la responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati, rifugiati e Rom. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali per il suo impegno nell’accoglienza, la protezione e l’integrazione. È promotrice e coordinatrice dei “Corridoi Umanitari”, progetto nato dalla collaborazione fra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane e la Tavola Valdese, che ha già permesso l’arrivo in Italia di oltre mille profughi siriani in situazione di grave fragilità e un successivo protocollo con CEI (conferenza episcopale italiana) per profughi provenienti dal Corno D’Africa.



Laureato in lettere indirizzo storico (La Sapienza) e in Scienze delle pubbliche amministrazioni (LUMSA), studioso di storia, si occupa in particolare delle categorie marginali tra il medioevo e l’epoca moderna analizzando anche la situazione di alcune minoranze, come quella degli zingari, nel contesto contemporaneo. Collabora con diverse riviste di studi umanistici e con Leussein sin dai primi numeri; è iscritto all’albo giornalisti, elenco pubblicisti di Roma.


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