Manifesto dell’Associazione

“Zum Sehen geboren, zum Schauen bestellt”
[Nato per vedere, guardare è il mio compito]

Leussô in greco antico significa “vedere qualcosa che ha una luce propria con sguardo fiero e libero, con riferimento a cose gioiose e piacevoli ma anche angosciose e paurose”. L’ambivalenza semantica rimanda direttamente alla ragione filosofica profonda della modalità del vedere, alla definizione dell’ambito trascendentale per cui il soggetto non può essere senza l’oggetto né l’oggetto senza il soggetto. È la natura stessa della conoscenza ad essere implicata dal modo in cui ci si rapporta al mondo.

La nostra Associazione intende convogliare risorse intellettuali e culturali verso questo snodo problematico decisivo: le ragioni per cui il rapporto con il mondo e con il nostro simile è tanto attivo che passivo, gnoseologico come creativo. Non solo conoscere per trasformare, ma la conoscenza come trasformazione del mondo nell’atto stesso in cui il mondo trasforma la nostra conoscenza.

La conoscenza è la nostra trasformazione ad opera del mondo che noi trasformismo.

Solo una dottrina forte, ma critica, dell’essere impedisce il volgersi del sapere in pre-giudizio (che è la resistenza a trasformarsi accettando la ‘lezione’ del mondo e della storia).

Come ha scritto un filologo del livello di Giovanni Semerano, “l’etimologia del latino ‘scientia’ è rimasta ignota finché non è apparso evidente che scio ha il suo remoto antecedente in accadico še’û, ebraico ša’a, tedesco sehen, suchen: è un ‘vedere dopo aver cercato di scorgere’. La complementarità del ‘vederesapere’ è confermata dal latino sapio, nel senso di ‘sapere come autopsia’: accadico sapû (guardare), ebraico safa (essere veggente, profeta), della stessa base di σαφ̀ης (chiaro)”. Vedo l’Altro perché “ho cercato di scorgerlo”. La profondità conoscitiva dello sguardo è indisgiungibile dalla “tonalità emotiva” di chi guarda e ricerca, di chi agisce e patisce il rapporto con l’Altro.

Vedere è sapere e il sapere è potere ma non potenza solo se il vedere è leússein (una critica che è autocritica).

Non esiste oggettività (cioè purezza, neutralità, leggi date una volta per tutte) della scienza, cioè del sapere umano. Né il soggetto è puro, né è puro l’oggetto. Come sostiene ancora Semerano, il latino “censeo” sta per “cerco il vero, il legittimo, il proprio”, dove “la componente –seo di cen-seo ha il significato di ‘cercare di scorgere’: accadico še’û(m): alla quale base appartiene inglese to see, tedesco sehen, schauen”. Appunto l’attività più naturale, quella del vedere, portata oltre i suoi limiti fisiologici, oltre ogni ‘ingenuità’, spinta a cercare oltre la superficie, oltre il puro oggetto, verso la verità delle cose, uno sguardo che in virtù proprio della sia finitezza è volgersi anche delle cose a noi, riguardarci, interrogarci.

Il passo del Faust che abbiamo scelto come incipit dice appunto (e con gli stessi verbi usati da Semerano) che il dovere di “guardare /Schauen/” si fonda sulla nostra natura ontologica, sul nostro essere nati per “vedere /Sehen/”, per andare sempre più a fondo. A parlare è Lynkeus, l’occhio di lince cui Goethe fa dire: “spingo lo sguardo lontano /in die Ferne/” e, nonostante la “tiefe Nacht”, di tutte le cose “vedo la bellezza eterna /seh ich die ewige Zier/”, appunto l’essenza più propria oltre la mera apparenza.

Ebbene Leussô sta proprio per sguardo consapevole sul mondo, approfondito quanto aperto, gadameriana “fusione di orizzonti” fra il guardante e il guardato, al fine di una conoscenza come chiarezza, bisogno di luce che però illumina anche la luce, prende l’oggetto non per mero dato, factum brutum, ma realtà dinamica, trasformantesi e trasformabile. E infatti sempre secondo Semerano “Λευκ̀ος (chiaro, lucente)” è termine che viene dal “miceneo re-u-ko, re-u-ka, antico indiano rocá- (lucente), antico accadico ‘RQ (giallo: detto del fulgore del sole nascente, del cielo al sorgere del sole, ‘yellow’)”; il guardare di leussô è illuminante (nel senso che ci dà conoscenza) ma anche illuminato (dal “sole” delle cose che appunto ci illumina). Non solo il soggetto va all’oggetto, ma anche l’oggetto va al soggetto, i due termini si definiscono proprio a partire dalla dialettica della conoscenza, che proprio per questo non è mera formalizzazione del reale.

Non a caso, come nota acutamente Bruno Snell, Socrate avrebbe definito il suo pensiero a partire da un concetto “επιστ̀ημη (episteme) che non comprende soltanto il lato teorico, ma anche il lato pratico, cioè sapere e potere insieme”, una conoscenza orientata alla prassi, che ha certo un valore “morale”, ma in prima istanza ontologico e gnoseologico, perché presuppone una precisa Beziehung fra soggetto e oggetto, fra uomo e mondo e di conseguenza degli uomini fra loro. Anche per Snell dunque la teoria serve a meglio individuare (e dunque conoscere e modificare), nel caos dell’esperienza, il proprio oggetto. Theorein e leússein si rimandano essenzialmente, il soggetto non sarebbe soggetto senza il mondo, il mondo sarebbe kantianamente ‘cieco’ senza il soggetto.

In un’epoca caratterizzata da un sentire comune omologato dalla “società dello spettacolo” (che ipostatizza l’aspetto emotivo, scindendolo dalla presenza critica), dove anche l’informazione (ridotta a sensazionalismo e vouyerismo) fatica non poco a proporre uno sguardo sul mondo attingendo i fatti da fonti genuine e verificabili, l’oscillazione emotiva denotata dal verbo Leússein riconsegna all’esperienza del vedere tutta la sua imprevedibilità e allo spettatore la responsabilità di decifrare e tradurre il segno di ciò che vede, accettando appunto di essere investito, ‘messo in crisi’ da esso.

Saper vedere ‘affettivamente’ significa allora vivere questa epoca di transizione con il coraggio e la responsabilità di chi non si estranea dal mondo, di chi non limita lo sguardo alla semplice soglia della nostra sicurezza, ma assume ed elabora l’emozione che viene da chi è altro da noi, tanto più se per qualsiasi ragione è escluso e silenziato. Si tratta di cercare l’Altro, per ritrovare una comune misura di umanità e riscrivere leggi e confini. Cercarlo per con-patirne e comprenderne il carico di sofferenza, frustrazione, incomprensione e indifferenza di cui è portatore, per toglierlo dalla condizione di hors-de-la-lois, riscrivendo una lois che tutti si dovrà rispettare.

E’ questo un compito ambizioso ma indispensabile, che coimplica i più diversi saperi e le più diverse dimensioni del reale, come provato dal fatto che ogni importante emozione dell’Altro, non percepita per la sua valenza e anzi isolata come cifra di chi è Estraneo, Straniero, Nemico, impedisce la già ricordata “fusione di orizzonti” e lascia prigionieri di reciproci “pre-giudizi”.

Come si vede, un discorso filosofico che è immediatamente prodromico ad un discorso nuovo sulla democrazia. Qui sta la necessità di un autentico cambio di paradigma, gnoseologico come esistenziale e qui si verificano i termini nuovi della questione intellettuale o degli intellettuali, oggi, nel mondo della globalizzazione e del clash of civilisations.

Il punto da tenere fermo è che rigore scientifico e meraviglia, curiosità per il mondo e per l’Altro, disponibilità a ricevere sensazioni e informazioni, sono cose non solo compatibili per scelta (magari in nome di ingenui umanismi o moralismi), ma coappartenentesi per natura, per necessità. Mostrare questo fondo comune, rilevarne il valore filosofico e le implicazioni storiche e culturali, è il compito che ci siamo dati come Associazione e che riteniamo preliminare e performante rispetto ad ogni possibile nuova politica o nuova umanità. Uno sguardo diverso è la premessa per un linguaggio che interpreti i segni dei tempi ma senza registrarli come ineluttabili; dove la diversità è ricchezza, non penalizza le identità, ma anzi permette loro di esprimere il meglio di sé. L’obiettivo è arduo e richiede inevitabilmente un perseguimento per tappe, ma la mondializzazione è già in atto e porsi all’altezza dei problemi è innanzitutto un dovere.

Più determinatamente l’Associazione intende seguire due itinerari di massima distinti, ma auspicabilmente vocati a incontrarsi e intrecciarsi:

  • recuperare, approfondire e discutere il sapere umanistico checostituisce l’epicentro della nostra civiltà;
  • confrontarsi apertamente con tutte le altre culture, per riattivare e sviluppare quella sensibilità al nuovo e al diverso che questa epoca impone nell’atto stesso che sistematicamente ostacola.

Quanto al momento organizzativo, la Leussô vuole offrire, con la prestigiosa sede di Viale Regina Margherita 1, un luogo di incontro, di discussione, di approfondimento e di ricerca in cui si attiveranno seminari, incontri, gruppi di studio e tavole rotonde con al centro l’uomo, le sue attitudini, le sue necessità qui e ora, nel contesto globale e nella nostra estrema modernità. La Rivista è chiamata a integrare il valore di questa iniziativa.

Una operazione culturale aperta a 360° dunque, che si avvarrà del contributo di studiosi di ogni disciplina, nonché dei più diversi e innovativi mezzi espressivi, al fine di dare la maggiore fruibilità e diffusione al lavoro svolto.

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